INCONTRO CON ADOLFO DI VEROLI
(da L.Zaccheo, La comunità ebraica di Sezze, 1987, pag. 33-38) "(...) Una donna di Sezze che era solita fare il mercato nero a Roma avvertì la famiglia Di Veroli che i Tedeschi ricercavano gli Ebrei per arrestarli e che avevano compiuto uno grossa retata al ghetto. Nell'inverno del 1943, nel mese di ottobre Adolfo co i suoi due fratelli, il padre e Giovanni Piperno di Roma si era nascosto a Suso (contrada Valle D'Amico) in una capanna messa a disposizione dal pecoraio Giotto Carlesimo. Durante il giorno Adolfo con i parenti stava in giro per la montagna per non destare sospetti e la sera tornava a dormire nella capanna. Il freddo però era intenso e le condizioni di vita erano molto dure. Sotto Natale Giovanni Piperno non sopportando più quella vita decise di tornare a Sezze, altrettanto fecero i Di Veroli. Erano trascorsi pochi giorni nella più confortevole casa-locanda Titi in Sezze, quando una mattina arrivarono i carabinieri comandati dal mar. Di Palma, che arrestò senza colpo ferire tutti i fratelli. E pensare che erano stati predisposti una serie di accorgimenti per evitare di essere catturati. Adolfo, dopo una pausa, dice che a causare il loro arresto furono certamente le stesse persone che pochi giorni prima avevano rubato la cassetta piena di gioielli e di soldi nel negozio di Ester-Strina (1). Questi pur di evitare scomodi testimoni avevano denunciato ai carabinieri la presenza degli ebrei nella locanda di Titi in Sezze. Adolfo a conferma di questa sua supposizione dice che egli era solito recarsi sia presso l'abitazione di Annibale Lucarelli, capo squadra della milizia fascista a Sezze, sia presso le abitazioni della famiglia Pasqualucci e del maestro Ricci, noti ed importanti fascisti di Sezze, senza che ci fossero stati mai particolari problemi. Appena però ci fu il furto a "Strina", evento che fece scalpore nel paese, subito iniziarono le persecuzioni contro gli Ebrei di Sezze. Insomma Adolfo con i fratelli Umberto e Giuseppe fu incatenato e, dopo aver trascorso una nottata nel carcere di Sezze, fu trasferito in quello di Latina. Anzi il tassista De Angelis dovette fare un secondo viaggio per poter trasportare in carcere anche il cugino Umberto Di Veroli (2), figlio di Angelino, abitante in Via Cavour n.37 e Giovanni Piperno. Nel carcere di Latina furono trattati umanamente, i secondini non riuscirono a comprendere i motivi del loro arresto, in considerazione del fatto che non avevano commesso nessun tipo di reato. Giuseppe, che era ancora minorenne fu messo separato dai fratelli in un'altra cella. Nel carcere per loro fortuna restarono appena 8 giorni in quanto nel gennaio del 1944 le truppe americane si apprestavano a sbarcare ad Anzio- Nettuno, e gli alleati avevano fatto massicci bombardamenti su tutta la zona compreso il carcere. Tutti i detenuti fuggirono, la stessa cosa fecero Adolfo e i fratelli. Di gran corsa si avviarono verso Sezze, ma a causa dei fumogeni che impedivano la visualità sbagliarono direzione e andarono verso il mare, anzichè verso la collina. Dopo qualche ora di fuga, in seguito ad informazioni, ritornarono sui loro passi e raggiunsero la famiglia Ricci (Chiucchiarone), che già ospitava da qualche giorno il padre Cesare e la madre Ada oltre all'intera famiglia Spagnoletto. Il cugino Umberto di Veroli si recò verso la famiglia Lepre, dove erano anche Giovanni Piperno e le zie Costanza ed Ester. Nel lungo periodo dell'inverno del 1944 ospiti presso la famiglia Molinari (gli ebrei presso la famiglia Ricci erano diventati troppi, perciò decisero di dividersi in più gruppi per evitare rischi maggiori) furono trattati molto bene anche fra mille difficoltà. Adolfo con commozione ricorda che i Molinari facevano miracoli pur di riuscire a rimediare il cibo per tutti. Di giorno i maschi andavano nella vicina palude in cerca di nidi di folaghe per prenderne le uova per la frittata, a pesca di ranocchi, di anguille, di pesci, a raccogliere verdure di campo. Fino al maggio 1944 la loro vita si svolse in campagna, sempre in allerta e con la paura del nuovo arresto. Con la liberazione di Sezze da parte delle truppe americane la famiglia Di Veroli tornò finalmente a Sezze. Li aspettavano ancora brutte sorprese e sofferenze. La loro casa di Piazza IV Novembre era stata svuotata di ogni bene ed era stata abitata abusivamente dal brigadiere Ferrari che prestava servizio al campo di aviazione di Sezze; nel magazzino avevano rubato tutte le stoffe; al loro camioncino che si trovava nel garace vicino Porta Romana erano state rubate tutte e quattro le ruote. Insomma avevano salvato la vita, ma non avevano più nessun bene. (...) Ormai siamo nel pieno dei ricordi e Adolfo a ruota libera racconta i vari momenti della sua vita senza distinguere i periodi. Ci dice che nel Maggio del 1944 vicino alla zona dell'Oso morirono quattro soldati francesi ebrei a seguito dello scoppio di una mina, che fece saltare in aria la camionetta su cui viaggiavano. Un ufficiale cercò Adolfo in casa e si fece accompagnare nel piccolo cimitero ebraico di Sezze per seppellire i quattro soldati. Questi in seguito furono trasferiti in un altro cimitero. (...) Dopo che il governo fascista emanò le leggi razziali, Adolfo che frequentava il primo avviamento professionale dovette abbandonare la scuola (la stessa cosa avvenne per i fratelli) e si dedicò interamente ad aiutare il padre nel negozio. Ma anche al padre Cesare fu ritirata la licenza di commercio ambulante e la situazione economica diventò difficile giorno per giorno. Cesare comunque non si perse d'animo, si fece prestare un mulo da Caldino Le Foche e di nascosto andava casa per casa per la campagna e per Suso a vendere la biancheria e le stoffe. E la vita continuava lo stesso (...)". (1) Si veda a riguardo il racconto di Amedeo Spagnoletto in L.Zaccheo, La comunità ebraica di Sezze, Sezze 1982, pp. 30-32. (2) Il nome del giovane era in realtà Alberto. |